Harbeit Macht Frei

Arbeit macht frei, in tedesco “il lavoro rende liberi”.

Una semplice, indifesa, lettera alfabetica puŏ, con la sola presenza oggettiva e tangibile, essere simbolo del dissenso, della rivolta, grido di libertà, di dignità, mentre tutto intorno precipitava nella follia e nell’abisso.

È la storia della scritta di ingresso a molti campi di concentramento, tratta dal titolo del romanzo del 1827 del tedesco diefenbach, definito da primo levi nella tregua “le tre parole della derisione […] sulla porta della schiavitŭ.

Nel 1940 fu usata anche ad auschwitz, il piu’ grande lager nazista mai costruito, sotto la quale i prigionieri che lasciavano il campo per lavorare o che rientravano erano costretti a sfilare.

Una scritta illusoria e beffarda per coloro che mai avrebbero visto la liberta’.

Essa fu commissionata ad un prigioniero, un fabbro polacco, jan liwacz, sopravvissuto, il quale come gesto di ribellione intellettuale, di dissenso, al momento di saldare le lettere, ribalta la b in modo che l’occhiello piccolo risulti in basso.

Un grido di liberta’ con le semplici armi delle lettere, di cui i nazisti non si accorsero mai.